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spiava l’arrivo di Nania. La mattina recatosi a Nuoro con l’entrata, cioè col formaggio fresco, la ricotta ed il latte, Jorgi si era tutto cambiato di vesti ed ora nella bianchezza opaca della sua camicia, col volto fatto pallido dalle terribili emozioni sofferte, pareva quasi bianco. La sofferenza e l’insonnia gli avevano affilato i lineamenti, tanto che Nania, appena furono nell’ombra del ciglione gli disse!

— Perchè sei così bello, oggi?...

La piccola fanciulla possedeva una voce dolce e triste resa più affascinante dalla schietta pronunzia logudorese del suo linguaggio.

Jorgi, cupo negli occhi, sulle prime non rispose e la fissò acutamente, quasi volendo penetrarle nell’anima.

— Sei più bella tu... — rispose con voce irata. E prendendole di mala maniera l’anfora la depose in terra dicendo: Oggi dobbiamo parlare a lungo, Nanì...

Essa ebbe paura e lo guardò spaventata. Nel suo gran fazzoletto color d’oro, a fiorami, disteso come un manto sulle spalle, Jorgi la trovò tanto bella che si addolcì improvvisamente e restò estatico a guardarla. Pareva una di quelle figure sacre dipinte sullo sfondo di arazzi moreschi, che si ammirano in qualche tela italiana del secolo XV, e Jorgi, pensando alle brune bellezze delle ragazze che fino ad allora aveva conosciuto, si convinceva nel suo dubbio.