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Probabilmente si preparava ad andar a letto. Era alto e magro, biondo e con gli occhi piccoli, di cui non si distingueva il colore, stretti agli angoli in un modo bizzarro che dava un’espressione simpatica a tutta la sua fisonomia. Un bell’uomo, infine, che poteva esser vecchio — non si sapeva precisamente distinguere.

Jorgi lo divorava con gli occhi, allorchè vide entrare Nania. Un fremito agitò tutta la sua persona e, inconsapevolmente, diede un balzo serpentino, indietreggiando, per non essere veduto dalla fanciulla.

Nania era piccola fanciulla sottile e triste. Nel suo visino di quindici anni aleggiava sempre una serietà quasi tragica, e il pallore fosco della sua carnagione finissima veniva accresciuto dalla tinta cinerea dei suoi capelli biondi. Uno splendore di capelli crespi, foltissimi che dovevano pesarle sulla piccola testa liliale, di bambina cresciuta innanzi tempo. Infatti essa era da tre o quatt’anni, dopo la morte della mamma, la massaja della cantoniera.

Faceva tutto, aiutata a mala pena da Arrosa, e non perdeva un minuto di tempo. Solo da tre settimane pareva distratta, trascurava le sue faccende domestiche e si assentava lung’ora nell’andare al ruscello. Veniva invasa a momenti da scoppi di pazza allegria, ed a volte piangeva dirottamente, e zio Gavinu si accorgeva del suo cambiamento, ma non diceva nulla e non riusciva a indovinarne la causa.