Pagina:Racconti sardi.djvu/134


— 130 —


Anch’egli, che vedeva spesso gente attraversare lo stradale, non fece gran calcolo di loro, scese dal ciglione e si avviò. Ma a metà strada si fermò, trasalendo. La vista della lunga anfora fiorita che egli conosceva tanto bene, gli fece battere violentemente il cuore, ma per poco. Non era Nania che la portava in testa, non era Nania che si avanzava sulla triste bianchezza dello stradale, col fazzoletto giallo cadente disteso sulle spalle e fiammeggiante al sole. Era la piccola sorellina, Arrosa (Rosa).

— Perchè vai tu all’acqua, oggi? — le gridò Jorgj quasi adirato.

Invece di rispondergli, Arrosa, una monella della peggior specie, appena lo riconobbe cominciò a strillare, per farlo stizzire:

Tiligherta, Tiligherta
     mamma tua est in gherta.
     babbu tou est morinde.
     tiligherta baetinde...

Ma egli non vi badò e ripetè la sua domanda, meno duramente, avvicinandosi alla piccina.

Arrosa, temendo la picchiasse, gli fece allora un bel sorriso e gli rispose: — Perchè Nania sta lavorando.

— E cosa sta facendo?

— Sta lavorando perchè vengono l’impresario e l’ingegnere. Non li hai veduti a passare?