Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
116 |
XXXI.
a meo abbracciavacca.
Tanto è Dio di servito essere degno,
Chi più lo serve, il può nulla stimare;
E tanto grave ingiuriar l’invegno,
Chi men l’ingiuria, il può non sadisfare.
Nè buon per se sperando ha certo segno,
E sì non reo in Dio dea disperare;
Misericordia è tutto il maggior regno,
Che buono aggia, e non buono onde fidare.
Giustizia, e pietate hanno amicizia,
E che vuol l’una, l’autra in Dio disìa,
Che non giustizia mai uom danna, poi pente.
Nè mercè da mercè viva malizia:
Giustizia vuole essa mercè, cui dìa,
Ed essa di lui puna uom dur nocente.
XXXII.
Uomo fallito pien di van pensieri,
Come ti può lo mal tanto abolire?
Dignitate, ricchezza, e pompa cheri,
Superbia, e dilettanza vuoi seguire?
Non ti rimembra, che come corrieri
Sei ’n questo mondo pieno di fallire?
Morendo vecchio, par che nascesti eri:
Nulla ne porti, e non sai ove gire.
Ora dunque, che non pensi in te stessi?
Che badi avere un giorno beninanza,
Per esser mille tristo, e tormentoso?
Come terresti folle, chi prendessi
Aver un punto bene, ed allegranza,
Per aver pianto eterno, e doloroso.