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XXIII.


Dolcezza alcuna o di voce, o di suono
Lo mio core allegrar non può già mai,
Pensando, che diviso, e lontan sono
Da quella, ch’amo, ameraggio, ed amai:
Ne per dolzore in cantando m’ risono;
Ma pur di doglia canteraggio omai:
Come l’augel, dolci canti consono,
Ch’è preso in gabbia, e sostien molti guai
Tante gravose doglie, e pene porto,
E ’n viso, ed in diviso, com’ mi pare,
Se di presso nè sono, o di lontano,
Sempre mi trovo in tempestoso porto;
E lo dolor per mezzo il volto appare:
Credendomi appressare, io m’allontano.


XXIV.


Partito sono dal viso lucente;
E penso, se puot’esser veritate;
Pensando m’iro, e guardo infra la gente;
E non mi rende il sole claritate:
Poi sospiro, e dico; oimè dolente,
Taupino me, che spero vanitate!
Perduto aggio lo core con la mente;
E son silvaggio de l’umanitate,
Che per Amore aveva ricevuto,
Pensando, che Iddio m’avea donato
Di ben servire a del mondo la fiore:
E me partendo sono si smarruto,
Che, se di presto non son ritornato,
Io moriraggio per lo süo amore.