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ASTUZIA, INGANNO.


Bisogna fa de coiò per no pagà dasseBisogna fare il minchione per non pagare gabella — e
L’è semper mèi viga ü tòc de coiò ’n scarselaÈ sempre meglio avere un tocco di coglione in tasca — Spesso in tasca il suo baiocco aver giova di marzocco — Si suole anche ripetere:

Penso e ripenso e dal mio pensar ricavo
Che è meglio far da coglion che far da bravo.

Chi è coiò staghe a ca sòChi è minchione resti a casa — per non esporsi ad essere gabbato. Al minchione non si usa misericordia; anzi quando si vede giuntato gli si canta sul viso:
Chi è coiò, sò danChi è minchione, suo danno.
Chi non sa fingere, non sa regnare — Lo ripetiamo sovente, quantunque non sia di nostra fattura. «Piuttosto che regnare mercè l’inganno ed il sotterfugio, preferiamo mille volte la nostra faticosa e onorata povertà, che non nuoce ad alcuno, ed anzi serve per molti di esempio a perseverare con rassegnazione nel bene in barba agli stenti.» (Fanny Ghedini Bortolotti, Proverbi spiegati al popolo).
Chi è de l’arte conosce l’opera — Si dice ad uno che mostra di temere inganno da parte nostra.
Co’ l’arte e co’ l’ingano si vive mezo l’ano, co’ l’ingano e co’ l’arte si vive l’altra parte — Questo proverbio è di tutta Italia, come forse è di tutta Italia, o meglio di tutti gli uomini, l’applicazione di esso.

Di olte ’l va l’ingàn a l’inganadùr — e per dirla col nostro Assonica: As’ pò faga la maiti-