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DICHIARAZIONE

DEL TEMPIO

DELL’ONORE E DELLA VIRTU

FUORI DELLA PORTA CAPENA OSIA DI S. SEBASTIANO,

ORA CHIESA DI S. URBANO ALLA CAFARELLA.


Fra le due vie, che anticamente uscivano dalla porta Capena, così denominata dal bosco, e pago delle Camene, ora di S. Sebastiano, scorre la fertile, c amena valle Egeria, che dal nome de’ possessori presentemente vien detta la Cafarella. Ella è racchiusa dalle pendici de’ colli che sieguono il Celio, e l’Aventino, sopra de’quali diramasi il corso delle vie antiche Latina, ed Appia. Al termine delle due miglia fi della città s’incontrano due Chiese, ana alla destra del colle chiamata di S. Sebastiano, l’altra a sinistra di S. Urbano; all’onore del quale il nostro antico tempio, che sovrasta alla detta valle, fu consecrato.

La facciata di questo tempio riguarda il ponente, e la valle Egeria. La ragione di questa situazione, secondo Vitruvio è, che la statua posta nella cella riguardi verso il Ponente; acciocchè quei che vanno all’altare per far sacrifizi riguardino nello stesso tempo e l’Oriente, e la statua che è nel tempio: e ancora verso l’Oriente riguardino quei che vanno a farvi preghiere; onde tanto a’ supplicanti, quanto a’ sacrificanti parrà che le immagini stesse dei Dei sorgano a rimirarli: perloché gli altari tutti debbono necessariamente riguardare l’Oriente1. Questo rito non solamente fà pratticato da’ Gentili, ma anche osservato da’ Cristiani antichi; onde ne scrittori Ecclesiastici è notato, che le Chiese per lo più erano rivolte colla fronte verso Ponente.

Non senza ragione abbiamo inserito il presente Tempio in questa raccolta non solamente per non esser stato mai da altri analizato, ma perchè lo consideriamo per uno de’ più antichi, che sia a noi restato più intero. La sua bizzara costruzione circa il materiale di mattoni è una evidentissima prova dell’antica maniera di opera laterizia, che pratticossi da’ Romani innanzi che Merello introducesse il lusso de marmi ne’ tempi, come indica Vellejo Patercolo nella sua storia2. Di questa opera particolarmente parleremo nella spiegazione delle Tavole VI e VII. Frattanto cominciamo a riferirne le proporzioni, e simetrie.

CAPITOLO PRIMO.


Che comprende la spiegazione delle Tavole I, II, III, IV, V, VI.

Tavola 1.

In questa tavola prima si dimostra l’Icnografia, o pianta del Tempio; che pel suo aspetto, o figura convien porre secondo Vitruvio, fra quei, che egli nomina Prostili, i quali conservano la medesima composizione, e simetria di quelli, che chiama in antis; colla soia differenza, che dirimpetto ai pilastri delle cantonate della cella hanno due colonne3. Questo nostro prostilo non ha in faccia a’ pilastri che una sola colonna.

Avendo noi già parlato di sopra della distribuzione della cella, per non ripetere ciò che abbiamo detto, basterà qui notare, che Vitruvio stabilisce la lunghezza di tutto il Tempio4 dalla doppia larghezza; che nel notro Tempio soltanto è di una larghezza, e poco più di mezza; nella lunghezza però della colla poco si discosta da’ precetti di Vitruvio, il quale vuole, che sia un quarto più lunga della larghezza, compresi i mari.

Il pronao è alquanto superiore al terzo della sua larghezza, la quale cgli vuole che sia tre quarti talmentechè qualora il Tempio sia largo più di venti piedi, pone due colonne fra i due pilastri, e le colonne delle cantonate, a fin di separare i fianebi e lo spazio del pronao; ma essendo il nostro della specie di diastilo per lo spazio degl’intercolunni, come diremo in appresso, e non conservando la larghezza che assegna Vitruvio, pare che questa sia la ragione, per cui è stato restremato il portico; non essendovi le due colonne tra i pilastri, e le colonne angolari.

In questo luogo il Galliani non ha inteso Vitruvio, tanto circa la cella, quanto circa il Pronao, avendo aggiunto uno spazio sul dosso della cella, che doveva dare al Pronao.

In conformità dunque de Prostili ha quattro colonne di fronte, due innanzi de’ Pilastri delle cantonate della cella; e due nel mezzo; pel qual numero di colonne può dirsi Tetrastilo.

Vitruvio5 nell’assegnare le proporzioni per cavare il diametro delle colonne, lo deduce dal numero di esse; prescrivendo, che, se nello spazio determinato di una fronte, qualora sia tetrastilo, cioè di quattro colonne, si divida in undici parti, e mezza, non contando li sporti de’ zoccoli, o delle basi, e di una di queste parti si formi il diametro della colonna. Questa nostra fronte è divisa in dodici purti, ed un terzo, una delle quali è data al diametro delle colonne angolari; queste sono una vigesimatecza parte maggiori delle colonne di mezzo: quale accrescimento Vitruvio vuole che sia una cinquantesima parte, assegnandone la ragione, cioè, che l’aria, che giuoca intorno, apparentemente scema la grossezza de’ fusti, onde colla riflessione de’ raggi si uguagliano le differenze cagionate dall’inganno dell’occhio6.

Ai pilastri da la medesima larghezza delle colonne che gli sono di fronte7; ma qui sono minori di un quarto della grossezza della colonna angolare, la quale restrizione giudichiamo esser stata praticata acciocchè gli architravi nella parte di fuori restassero posati sul vivo superiore delle colonne, e de pilastri. Questi del nostro tempio, in vece di avere lo sporto fuori del muro della cella, restano in esso restremati, perchè l’agetto dell’architrave non superi la direzione del muro della cella.

La specie dell’intercolunnio vien denominato diastilo, a cui assegna tre diametri di colonna per la sua larghezza, che qui ne laterali è alquanto maggiore a detta misura, superando quello di mezzo on quarto del diametro. Di somigliante specie nota egli l’esempio nel tempio dedicato ad Apollo, e Diana8, e conchiude che questa maniera ha il difetto che gli architravi si spezzano per la troppa lunghezza. Avvertasi che la larghezza dell’intercolumnio dei lati di tre diametri, ed un terzo.

L’agetto delle basi delle colonne, che i Greci dissero Echforan, è un quarto del diametro; onde tutta la base presa per lungo, e per largo è un diametro e mezzo della colonna9; qui però l agetto è di una P sesta parte del medesimo. Il Tempio è piantato sopra un tribunale, del quale abbiamo abbastanza parlato trattando dell’altro Tempio. Lo spazio del portico, e della scala è racchiuso da due piedistalli, che sono a pie delle colonne angolari, e formano le banchuine della scala. Continuano questi piedistalli ai lati del portico fino ai muri della cella, di dove si stacca il podio, o basamento che gira intorno alla medesima.

Tornando alla cella, osservasi nell’interno essere ornata di pilastri in tutti i lati, che poggiano sopra archetti in piano collegati con mensole di tevertino che sporgono fuori del muro, sopra i quali è poggiato l’ordine de’ detti pilastri, che occupano il mezzo delle pareti. Si vede a più della tavola la pianta generale segnata E, che presenta l’area del tempio che aveva innanzi, e le fabriche, che lo cingevano d’intorno: e in oltre il muro di sostruzione, che poneva la detta area in piano nel declivio del monte che riguarda la valle Egeria. Quest’area è di forma quadrata, la ne’ lati i muri con aperture, o ingressi nella parte sinistra di esso, scoperti nell’anno 1771, insieme con avanzi di fabbriche, che presentavano idea di un’altro tempio, ed altre addiacenze, delle quali altrove parleremo. Ha questo Tempio d’intorno all’esterno un passaggio, o separazione di muro che lo difende da tre lati, non regolarmente fatto. Questo ambito distaccava il luogo sacro dalle abitazioni che lo cingevano, nelle quali dovea aver luogo l’edituo, o sagrestano, per la custodia dei doni, e voti, che lungo tempo erano restati collocati, e appesi nel Tempio.

È riportato anche a piè della Tavola un bollo di una delle tegole del tetto col nome del Fornaciajo, ora esistente nel nostro Museo.

La Tavola seconda presenta il prospetto del Tempio

  1. Lib. IV, cap. 5.
  2. Lib. I, cap. 2.
  3. Lib. III, cap. 1.
  4. Lib. IV, cap. 4.
  5. Lib. III, cap. 3.
  6. Lib. III, cap. 2.
  7. Lib. IV, cap. 4.
  8. Lib. III, cap. 2.
  9. Lib. III, cap. 3.