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Ma gl’Italiani riflettano che tutti gli Stati, anche i protestanti, hanno che fare coi cattolici, e quindi con Roma. La questione è politica, e perciò più intralciata.

In Polonia il Cattolicismo è protesta di nazionalità; in Irlanda è questione di finanza e d’autonomia; in Francia è questione dinastica. In Austria questione di libertà ec.

Tutti questi Stati non possono con un frego di penna cancellare la cifra della loro popolazione cattolica, e questa popolazione che non vede le cose da vicino come gl’Italiani, ed è ingannata dai vescovi e dal clero, giudica altrimenti da noi, ed obbliga i respettivi Governi a molti riguardi.

Importa dunque che gl’Italiani come i cattolici esteri, si facciano carico delle ragioni e de’ giusti riguardi gli uni degli altri, e s’accordino reciproche concessioni: altrimenti non v’è modo di giungere ad uua conciliazione.

Per indursi a queste reciproche concessioni, si persuadano da un lato i cattolici esteri che nessun Italiano nè in Roma nè fuori vorrà più essere governato da preti. Su ciò non è transazione possibile.

E dall’altro riflettano gl’Italiani che la condiscendenza nell’accettare certe forme che divennero odiose, agevolerà di molto le conclusioni d’utilità pratica ed effettiva, ed è poi in certo modo una maniera di pagare quel debito di gratitudine che abbiamo contratto in primo luogo verso la Francia e l’Imperatore Napoleone, ed in seguito verso quelli fra i governi d’Europa che ci si mostrarono favorevoli. È debito nostro cercare di non essere loro cagione di pericolose complicazioni intestine.

La Francia ponendo termine alla lunga occupazione non può condurre il Papa con sè, nè costringerlo a lasciar Roma; credo anzi difficile ch’egli non si trovi nella