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Vi sarà la capitale militare, la commerciale, l’artistica, l’erudita, la religiosa, l’industriale ec. ec. Qualunque città sia scelta per capitale politica, qual danno potrà venirne alle altre? tanto più finite che siano e rese facili le comunicazioni delle ferrovie? E qual tremenda rovina invece, se il trasportare ora il Governo, inducesse in esso elementi di debolezza e di dissoluzione? Per qual motivo potrebbesi indurre chi è a Genova, a Milano, a Torino a lasciare le proprie sedi per andare a stiparsi nella città dove siede il Governo? Ci correrà qualche impiegato, qualche cacciatore d’impieghi al più, e vi concorreranno i membri del Parlamento durante le Sessioni. E tuttociò è poi un bene così grande, un vantaggio così enorme da muovere gelosia, ed invidia? Non dimentichiamo che in progresso l’azione del Governo è per diminuire e non per crescere. Che è sperabile vogliano finalmente persuadersi gli Italiani che i cittadini non devon tenerlo in sempiterno come la nutrice comune, ma debbono imparare ad esempio de’ paesi veramente liberi a farsi uno stato indipendente da esso. Questo nuovo sentire renderà anche meno sensibile la piccola differenza in favore della sede del Governo.

Tutta la questione dunque spogliata di quella fantasmagoria che si annette coll’idea di Capitale in altri paesi, si riduce per l’Italia alla semplice idea del dove convenga fissare la sede del Governo; e questa non è vana questione davvero!

L’importante poi, in conclusione, è che rinunziando a misere gelosie per meschini quanto malintesi interessi, gl’Italiani procurino d’accordo di collocare il Governo, come già dissi, in un ambiente sano, ove si mantenga

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