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indi ne ottenne il sopranome di Pompeiana, col qual solo distintivo caratteristico vedesi in Pompei medesimo talvolta indicata, senza l’altro aggiunto.
Leggesi così detta nella epigrafe a pennello sotto un dipinto gladiatorio alle spalle del tempio suo medesimo, ABIA • VENERE POMPEIIANA • IRATAM • QVI • HOC • LAESAERIT pubblicata da altri, ma che io qui ripeto sulla mia lezione, ed in una graffita sulla parete a destra della vietta, che è tramezzo ai due teatri ed esce sulla strada che va alla porta stabiana. L’ha pubblicata il sig. Fiorelli nel proemio alle illustrazioni del giornale degli Scavi di Pompei a p. VII, e ne ho data la mia lezione ancor io nelle Iscrizioni Antiche di Salerno p. 18. Se è cosi, ben potea dirsi Pompei Veneris sedes, siccome Ercolano, locus herculeo nomine clarus, da Marziale (IV, 44). Il qual classico luogo non trovo che alcun commentatore finora, nè altro scrittore delle cose pompeiane abbia preso in questo suo verissimo senso. Tutti ci dicono, come il Rosini, che quel Veneris sedes è inteso da Marziale de tota orientali plaga amoenissima quam Veneris sedem Martialis rite appellat (Diss. Isag. p. 93); ove ciò fosse, Pompei non avrebbe meritato neanche un lamento fra le dolorose note del patetico epigramma, ove pur si piange Ercolano:
Hic est pampineis viridis modo Vesvius umbris:
Presserat heic madidos nobilis uva lacus.
Haec iuga, quam Nisae colles plus Bacchus amavit;
Hoc nuper Satyri monte dedere choros.