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del vento; e però dall’andamento del luogo hanno preso questa inclinazione.

Alquanto più tardi e dopo levato il sole di questo secondo giorno cessata la caduta della pomice, a cui andava mista ancora molla cenere: Plin. Iam navibus cinis inciderat quo proprius accederet calidior et densior; iam pumices etiam, nigrique, et ambusti, et fracti igne lapides: la bocca aperta dal vulcano cominciò ad eruttare immense colonne di cenere che trasportate egualmente dal vento elevarono un secondo strato d’interrimento sopra le città di Pompei e di Stabia, e poicchè venivano in nuvoli calde, e pregne di elettricità, e di sviluppi gazosi, che Plinio chiama flammae, flammaramque praenuncius odor sulfuris (l. c.), il zio ne fu suffocato sul lido di Stabia, ed in Pompei si appiccò fuoco alla più parte delle case. È frequentissimo ora lo scoprir segni di abbruciamento sulle pareti, ove i mobili di legno avvampando, vediamo i gialli delle stanze cangiarsi ad altezze diverse, ed in figure assai varie, in quel colore appunto, che si ottiene ancor da noi dal giallo coll’opera del fuoco, e che si chiama però nelle officine, giallo abbruciato. Le travi, le porte, gli stipiti prendono forma di carbone abbruciandosi lentamente di sotto alla mole del lapillo, e delle ceneri.

Queste cose accadevano in Pompei ed in Stabia, e quelli che non avevano potuto camparsi colla fuga vi furono spenti dalle esalazioni soffocanti dei gaz, e dagli incendii: ma in Ercolano che era posta a ponente del Vesuvio pochi sono gli scheletri, perchè il pri-