5), conviene col nome, che gli dà Giovenale, ed è vera falx, ξίφος μὴ ὀρθόν (Artem. Onirocr. 11, 33), detta però tracia, perchè i Traci usavano di tal arma θρακικὸν ξίφος ἐπικάμπης. Di coltelli o spade ricurve trovo menzione presso gli scrittori, e confronti sui monumenti. La sica usata in Roma era un coltello presso a poco come l’acinace dei Persiani, e le copides degl’indiani (v. Q. Curzio Alex. Hagae Com. 1708, 14, 29, e la nota ivi apposta). Anche i Galli usarono una spada che caesim, non punctim feriret, e però appellata κοπίς, ma Dionigi la dice ὐπερμεγάλη (v. Mai, T. II. p. 4-40), onde parmi ravvisarla su quella classe delle monete della repubblica senza nome di zecchiere, delle quali è conosciuto l’asse, il triente, ed il vittoriato, e ne parlò il Capranesi in un suo articolo (Med. Rom. Ined. p. 1, 2 Ann. Inst. 1842, Tav. d’agg. N, 1 ). Fra le falcette, copides, piegate ad angolo ottuso pongo quella figurata su di un piombo, diversa alquanto di curvatura dalle copides descritte da Curzio gladios leviter curvatos, falcibus similes; ha impugnatura, e paramanico, manca però di elsa (Piombi antichi, Tav. III, 4). Questo coltello assai dappresso rassomiglia le falcette pompeiane, che piegano sulla metà della lama, ad angolo onninamente retto, nè finiscono in punta, ma in taglio tondeggiante. Queste io non scopro solo sui due trofei, ma eziandio sulle pitture, e sui graffiti, onde ne svanisce ogni difficoltà. Inoltre grazioso confronto ne viene da una vignetta del T. IV dei Bronzi tav. XVI, p. 77, (v. Tav. VIII, 3) non intesa così dagli Ercolanesi, che credettero i due