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tis onustum nempe cancro, delphino, tridente, clavo, et anchora, cum terrestri militiae inopportunum sit, navali percommodum esse poterat, cum scilicet milites pluteo navis pretecti bonam corporis partem ea tantum armatura indigebant, quae humeros et caput obduceret, interea dum iaculos et glandes in hostes immitterent (Diss. Isag. p. 81). Ampliò di poi questa attribuzione il Comm. Quaranta, scrivendo: Usavasi sì fatto scudo non solo dalla gente di terra ma eziandio da quella di mare, al che alludono il tridente, il delfino, il timone, il granchio e l’ancora che adornano il primo. La palma e la corona coi lemnisci di cui è fregiato lo scudetto che pende dalla catenuzza al n. 3, unitamente alla spada ed al tridente, fan vedere essere un offerta votiva navale (Mus. Borb. vol. IV, tav. XXIX, pag. 1,2).
Più avanti non so che siasi progredito. Adunque gli emblemi e i simboli marini in quest’arma, e sulle pareti dell’edilizio pompeiano notate dal Rosini, e dal Quaranta, dovranno essere indizio che le armi appartengono a soldati di marina? Ma e dov’è che i soldati romani imbraccino quest’arma? eppur gli esempii in fatto di armati abbondano. Le due colonne la Traiana di Roma, e la Teodosiana di Costantinopoli basterebbero sole. Si aggiungano i tanti bassorilievi, i trofei, le pitture, le statue nelle quali opere tutte sì varie chi mi troverà uno scudo somigliante al nostro? Inoltre di monumenti che rappresentano soldati di marina non manchiamo, e dai cippi sepolcrali dei Classiarii fino alle intere composizioni di battaglie na-