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vamo al portone per uscir davanti al palazzo si intesero voci gridare:
— Ecco Rossi!... Ecco Rossi!... Morte a Rossi!...
Era una caterva dei Reduci che ho detto, i quali indossavano la «panuntella» — così scherzevolmente chiamavasi la divisa del lor battaglione — che, precedendo la carrozza del ministro, ci respinse dentro. Appena la carrozza si fermò nel cortile più voci gridavano:
— L’infame!... L’infame!...
Aperto lo sportello discese subito Pellegrino Rossi — lo vedo ancora — col viso calmo e sorridente, lievemente scuotendo un sottile bastoncino. Appresso a lui Righetti. Quando vidi che gli si serravano addosso e che uno dei Reduci gli dava un colpo al fianco destro con l’elsa della daga, gridai forte:
— L’assassinio è un’infamia!...
AI colpo Rossi si volse vivamente a destra. Così presentò la carotide al designato per ammazzarlo, Gigi Ciceruacchio. Il quale lo colpì; mentre Mecoccetto alzando un mantello lo copriva.
Pellegrino Rossi stramazzò.
E Grandoni a gran voce:
— Ah! Birboni che l’hanno ammazzato!... Guarda che fontana di sangue!...
Allora quelli dei congiurati che al mio grido di riprovazione si erano volti su di me con i pugnali alzati, si volsero contro Grandoni, il quale continuava a strillare come un porco lattante separato dalla madre. Io, allora, lo presi per mano e gridai concitato a costoro:
— È matto!... È matto!... .
Mentre mi allontanavo conducendo meco Grandoni che più non connetteva, vidi gli stessi congiurati i quali freddamente dicendo: — Non è niente!... Non è niente!.. —, con ostentata amorevole premura, sollevavano da terra il corpo dell’ammazzato e lo adagiavano sul primo pianerottolo dello scalone.
Io non ricordo più per qual via me ne andassi!