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e Cortesi comandante della Guardia Civica di Trastevere con parecchi trasteverini, fra i quali ero io. Ed un po’ con le buone un po’ con la forza, impedimmo che quel colpo partisse. Altrimenti il portone sarebbe stato sfondato, ed avremmo avuto la disgrazia di annoverar nuovi martiri della Chiesa.

Passando per viuzze traverse, io andai alla estremità del Quirinale dalla parte delle Quattro Fontane. E, mentre cercavo di salire sul campanile di San Carlino, vidi frettolosamente discendere un certo Neri, il quale apparteneva alle Teste d’Argento, dicendo:

— E uno!... E uno!

Che cosa era accaduto?

Che, essendosi monsignor Palma affacciato ad una delle finestre del palazzo al tumulto che era nella via, il Neri con una fucilata lo aveva freddato.


Mi sono trovato presente alla morte di Pellegrino Rossi. Ed ecco per quale caso.

Già dalla sera avanti si sentiva per i crocchi un tristo mormorio, che faceva presagire tempesta.

Il Grandoni, anzi, mi disse che quei tali svelti di mano si erano la sera precedente adunati in un’osteria; e che esso avea potuto afferrar delle mezze parole di malo augurio per il ministro Rossi, il quale dovea, il giorno appresso, andar alla Camera per pronunciarvi un discorso col quale avrebbe conciliato Italia e Libertà col Papato.

Quegli adunati, ragazzi assai pericolosi, erano: i Neri, Costantini, Mecoccetto, Gigi Ciceruacchio, Toto Ranuzzi, Trentanove ed altri, tutti, o quasi, del battaglione dei Reduci. Perciò Grandoni mi pregava di andare con lui alla Cancelleria — dove si adunava la Camera — per vedere di impedire ogni assai probabile eccesso.


Difatti andammo. E dopo essere stati su a vedere la sala ove la Camera si adunava, scendemmo. Mentre ci dirige-