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disfarsene. Io ne fui avvisato da un mio cucino, Cesare Chiappi.
Consigliai subito al Grandoni di andarsene da Roma almeno per tre giorni. In questo mentre si poteva accomodar la cosa, promettendo promozioni di grado, con prospettive di rivolgimenti, con denaro e libagioni alle Teste d’Argento. Così chiamavansi quei ragazzi svelti di mano.
La cosa ebbe buon esito. Grandoni tornò e venne eletto colonnello ed elessero me maggiore. lo, però, non accettai. Poi, trattandosi di un sol battaglione, si trovò che non c’era posto per un colonnello. E così Grandoni venne fatto maggiore del Corpo dei Reduci.
L’uniforme di questo corpo era una corta tunica grigio-ferro, pantaloni uguali, cinturone di cuoio ed in testa un piccolo bonetto. Pareva che in quell’uniforme vi fosse una minaccia di triste fatalità.
Presto vedemmo come Grandoni, spinto soltanto da vana ambizione, da pettegolezzi di farmacia e di caffè, non sarebbe capace di tener a freno quegli ultimi discendenti dei Romani, dalle congiure dissennatamente feroci.
In quei giorni spesso avean luogo minacciose dimostrazioni, al fine di strappar concessioni di libertà al Papa Re. Una se ne fece, ed armata, al Quirinale il 16 novembre; non vi mancava l’artiglieria poichè alcuni andarono a prendere cannoni alla prossima Pilotta.
Mentre un gruppo di dimostranti più decisi voleva ad ogni costo entrar nel palazzo papale al Quirinale, il pittore Galli, fratello di questo nostro Galli vivente ora in Roma, strappò l’alabarda dalle mani dello svizzero di sentinella. Uscita fuori tutta la guardia, riuscì a chiudere il portone. Ma subito da una parte e dall’altra si cominciò a sparare; gli svizzeri sparavano dalle inferriate che danno sulla piazza.
Un bellissimo giovane, certo Selvaggi, era là con la miccia accesa, pronto a dar fuoco al cannone puntato contro il portone del Quirinale. Sopraggiunsero in tempo Federigo Torre