Pagina:Quel che vidi e quel che intesi.djvu/83


— 45 —

Anche prima di giungere a Ferrara — nella sosta che facemmo ad Este — avevamo sentito il bisogno di dare più decoro al trasporto che facevamo della gloriosa bara; e volemmo che con noi ci fosse un cappellano. E la bara non mandando certo odore, quando arrivammo nelle città e nei paesi non sapevam dove deporla. Allora, avendo nel picchetto d’onore due chimici, Boari e Peretti, questi col nostro aiuto imbalsamarono il venerato corpo; che, poi, chiudemmo in una cassa di zinco e questa in una robusta cassa di quercia.

Ad Este, pure, reclutammo il cappellano don Felice Spola giovine prete piemontese.


Ferrara, con un gran corteo, avea reso i maggiori onori al nostro Capo ed alla Legione. Bologna, saputo del nostro arrivo, tutta intera venne ad incontrarci: autorità, signori e popolani, dotti e ignoranti. Senza che alcun si opponesse andammo diritti a deporre la salma in San Petronio. Le orazioni funebri si facevan da noi a turno, senza contrasti e senza parole acerbe.

Data la eccellente accoglienza sostammo alquanto a Bologna. E quivi ordinammo espressamente un carro funebre del quale io feci il disegno. O, meglio, si prese un carro trenatore e lo si modificò ed addobbò secondo il mio disegno.

A gara offrirono i Bolognesi ospitalità a noi componenti il picchetto d’onore. Quel benedetto cappellano, però, invece di conferirci dignità ce la toglieva attaccandosi a tutte le gonnelle e, come Pietro, rinnegando il suo Maestro. Per farla finita io, come caporale, mi sentii in dovere di fargli una paternale, benchè non avessi che ventun anni.

Il più difficile fu in tal compito per me il mantenermi serio. Comunque io riuscii a parlargli così:

— Senti, prete Spola, noi ti abbiamo preso per decorazione e tu ci togli ogni decoro; anzi, ci svergogni spizzicottando tutte le serve ed amoreggiando con ogni fraschetta. Se tu se-