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I croati, allora, misero i fazzoletti sulle baionette. Non ci parve vero.

C’era nel fosso un ungherese ferito che tentava alzarsi sul braccio destro e che ricadeva, battendo la testa. Montai sulla barricata, scesi nel fosso proprio nel momento che un certo Annibali, una bestia eroica, stava per ammazzarlo. Mi slanciai sull’Annibali dicendogli miserabile. Incrociammo assieme le baionette; ma sopraggiunto il colonnello Galletti ci divise, trattò di animale l’Annibali e l’obbligò ad aiutarci nel portar il povero ungherese ferito dentro la barricata.

Messo al sicuro l’ungherese ferito, mi avviai per tornar alla mia barricata. E questo non si poteva far senza gran pericolo, dovendosi percorrere un borgo dove incrociavano le palle di cannone. Poco dopo, in questo borgo, il colonnello Del Grande avea appoggiato il suo cannocchiale sulle mie spalle per osservare il nemico; e mentre credevamo di divertirci nel guardare un razzo alla Congrève che facea lentamente la sua parabola — veramente questi razzi erano il divertimento della giornata — questo andò a battere sulla parete di una casa e, facendo un angolo, venne di rimbalzo a forar il ventre del nostro caro colonnello.

Egli ci amava come un padre. Era uomo semplice e rozzo, ma di grande animo. Egli ci diceva ad ogni momento:

Fii miei ce vò la disciplina delle masse. Questo è mejo pe’ lloro. Dateme udienza. Io so’ avvezzo colli mietitori della campagna romana.


Il pover’uomo cadde sventrato dal fiero colpo. Noi con religione mettemmo da parte la cara salma, giurando che il nemico non l’avrebbe avuta nelle mani.

Tornammo alle nostre barricate di doghe dove trovammo gli svizzeri, eroi taciturni. Noi eravamo vestiti di un grigio-ferro un po’ simile al colore del legno delle vecchie staccionate. Mi misi a sparare; quando ebbi sparato venne al mio posto