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barricata di doghe e voleva darmi i galloni di sergente che io non accettai. Egli, poi, mandò due compagnie di svizzeri per occuparla e due obici che vennero piazzati agli angoli.
Poco dopo noi nove uscimmo, per esplorare, incontro al nemico per la strada tenendo i fossati laterali; e fatto circa un chilometro, vedemmo il nemico avvicinarsi in colonna, avendo alla testa un ufficiale a cavallo che supponemmo essere il colonnello. Il maggiore dei due Valentini, armato il suo monocolo, puntò su questo ufficiale il suo fucile e sparò e lo vedemmo cadere. Ciò fatto, ci buttammo per le vigne quietamente ritirandoci. Il difficile fu di rientrare nella nostra linea perchè i compagni credendoci nemici ci sparavano contro. Accovacciandoci e mettendo i fazzoletti bianchi sulle baionette, finalmente potemmo entrare nella nostra linea.
La barricata maggiore era di terra, ma avea dietro un lunghissimo ballatoio di travi, ad altezza comoda per vedere e per tirare. Accadde ciò che era da prevedersi, che la prima palla di cannone che colpì i travi ci gettò tutti di sotto. Tutti, benchè un po’ ammaccati, ci rialzammo tranne un bel giovine vicentino di nome Tonin il quale non si rialzò più. I Vicentini, che erano in linea con noi, non finivan mai di lamentare:
— Povero Tonin!... Povero Tonin!...
Questo morto ci rimase tra i piedi tutto il giorno.
Ad ogni cannonata, ad ogni ferito a morte, non mancavamo mai di gridare:
— Viva l’Italia!... Viva Pio IX!...
Frattanto era cominciato l’attacco degli Austriaci al nostro fianco destro, a Monte Berico, che era difeso dall’artiglieria romana, con la quale erano Armellini e Torre, che divenne in seguito generale.
Noi vedevamo le biancastre masse degli Austriaci, le quali pur ondeggiando avanzavano, finchè vedemmo la cavalleria ungherese staccarsi dalla via di ferro; ed, avendo l’artiglieria