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Alla sera la Legione Romana ebbe l’ordine di far una sortita per proteggere Treviso, andando a Mogliano per minacciar di quivi, di fianco, il memico che si dirigesse sopra la città. I Trevisani, però, credendo che noi gli abbandonassimo, dalle mura ci spararono addosso una cannonata, che, fortunatamente, soltanto sfiorò le baionette di noi che marciavamo in colonna.
Durante questa marcia venne giù tale un rovescio di pioggia che non si vedeva a quattro passi avanti a noi. Così, bagnati fino alla pelle, si arrivò a Mogliano dove ci trovammo tanto vicini agli Austriaci che si sentiva calzar le palle nei mortai. Perciò rimanemmo, bagnati come eravamo, per tutta la notte all’erta e con addosso una gran fregola di azzuffarci col nemico.
Dopo non molto avemmo notizia della famosa enciclica di Pio IX nella quale egli dichiarava che i cattolici, italiani o no, eran tutti suoi figli e che, quindi, non poteva far guerra. Pio IX tornava papa!...
La conseguenza ne fu che almeno una metà dei nostri si affrettarono ad abbandonare la Legione per tornarsene nei felicissimi Stati Pontifici. Naturalmente i miei amici ed io fummo della metà che rimase. L’esser rimasto mi valeva una lettera della cattolica e trasteverina mia madre, che approvava ch’io fossi tra coloro rimasti per combattere.
La bagnatura toccataci durante la marcia da Treviso a Mogliano cagionò non pochi malanni fra i legionari. Più grave cadde infermo il principe Galitzine; il quale dovette lasciare la Legione per andarsene a morire, dopo non molto, a Bologna.
Quei poverini, i quali, per ubbidienza al S. Padre, voller tornarsene a casa, ebbero a soffrire un’odissea dolorosa quanto ignominiosa; essendo derisi, malmenati e persino legnati dalle popolazioni stesse che tanto ci aveano acclamato quando marciavamo verso il nemico.