Pagina:Quel che vidi e quel che intesi.djvu/67


— 33 —

vemmo prender per forza. Mettemmo assieme una quadriglia recalcitrante di due muli e due cavalli. Sebastiani montò alla postigliona e ci avviammo.

Fatto qualche miglio vedemmo militi a torme che battevano in ritirata con la faccia e le mani nere per la polvere delle cartucce che, a quel tempo, tutt’or si doveano aprir con i denti. Brutto spettacolo per noi militi novizi!...

Venivano dopo i feriti su lettighe fatte con rami di albero. Vidi il barone Danzetta ravvolto in una coperta su di una materassa sanguinolenta. Sopraggiunser poi altri militi che ci mimacciarono per imporci di voltar i cavalli per tornar addietro, dicendoci che andavamo a portar le munizioni al nemico. Per disimpegnarci da quei prepotenti, ricorremmo all’espediente di accendere delle torce a vento che Annibale Lucatelli agitava gridando:

— Se non vi levate d’attorno dò fuoco alle munizioni!...

Prima che il nemico ce le prenda le faremo saltarel...

Allora quelli che ci serravano, e che non bramavan altro che portar la loro pancia il più possibile lontano dal nemico, ci sgombrarono il passo. Arrivati sulla piazza di Cornuda constatammo che gli Austriaci si eran ritirati da una parte e che i nostri erano fuggiti dall’altra.

Tornammo, allora, a Montebelluna dove, staccati cavalli e muli dal carro, lasciammo loro la cura di tornarsene da sè alle rispettive stalle.


La Legione era accantonata in una molto grande chiesa, la quale serviva anche da ambulanza, così noi ci trovammo ad assistere alle operazioni, alle agonie, alle morti.

E, di lassù, vedevamo pure errar per la valle tanti lumicini, erano Austriaci tornati per spogliare i nostri caduti.

Battevano, intanto, i nostri tamburi per la ritirata su Treviso, tappa di circa una trentina di miglia. Non avevamo mangiato da più di ventiquattro ore, la notte avanti per far le trincee non s’era dormito. Nonostante, sacco in spalla e via!...