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Mi rivedo, a quel tempo, girando per Roma, come un cane cucciolo, col naso in aria, colle spalle un po’ curve, non sapendo proprio dare una direzione alle mie gambe, sventolando un amplissimo carrick di panno azzurro senza saper dove posarmi.

Eppure andavo con una lettera amorosa sempre in tasca, diretta ad una stella, che brillava per me e che io non conosceva ancora, senza la quale non potevo più vivere, nè muovermi, nè star fermo.

Finalmente vidi ad un balcone al primo piano in Via della Mercede, certe signorine Lattanzi, le quali, a me che passavo e ripassavo, parve facesser viso sorridente. Eran tre sorelle; una avea capelli castagni, una gli avea biondi ed una neri. Allora cambiai il tono della mia lettera e scrissi:


Alzai gli occhi al cielo,
Vidi brillar tre stelle.
Quale sarà, tra quelle,
Che brilla in ciel per me?
Sarà, forse, la prima,
Ovvero la seconda?
Sarà la bella bionda,
Che brilla in ciel per me?


Era di sera, mostrai la lettera alle fanciulle, fissandole; esse fecer cenno, col capo, di aver capito. Calarono un filo al quale io raccomandai il foglio, che fu presto tirato su. Era di primavera e le finestre eran tutte aperte e da queste uscivano torrenti di luce, tanto più che, a quel tempo, le vie eran quasi buie, cosicchè tuttora vi si vedeva qualche can barbone precedere il padrone con la lanterna in bocca. Io ansioso attendeva l’esito della mia poetica missiva paludato nel mio carrick, col naso in aria. Quand’ecco che me la sento leggere ad alta voce, chiosandola con sonore risate in coro da vecchi, donne e bambini, che poi principiarono a cantar le mie poetiche pa-