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rio XVI con gran seguito sul Lago di Paola, ch’essi aveano per la pesca in affitto dai Caetani.


Lasciato il Collegio di Montefiascone, io, col più piccolo dei fratelli, Luigi, venni messo nel Collegio Bandinelli in Roma. Questo, di impianto toscano, tenuto a convitto, era molto per bene e si trovava accanto a San Giovanni dei Fiorentini.

Vi eravamo tenuti come gentiluomini. Per esempio non venivano a mensa le parti fatte, ma girava il vassoio delle pietanze dal quale ciascuno poteva, senza abuso, servirsi a suo piacimento. Ciascuno avea camera a sè. Ma, Dio mio, alle finestre c’era la gelosia con stecche messe in modo che lasciavano vedere solo le stelle e la porta ne veniva, la notte, chiusa a catenaccio. Inoltre nella porta v’era un pertugio, dove non di rado apparivano le pupille del Rettore.

Questo Rettore, Monsignor Cardona, era un vero gentiluomo. Bello, alto, viso ovale, occhi cerulei, aveva bellissime mani fatte per essere inanellate da cardinale. Ed infatti egli venne più tardi nominato Preside dell’Accademia Ecclesiastica e fu cardinale papeggiante.


Si capisce come le stelle dei cielo non bastino a chi è chiuso in una specie di prigione. La porta chiusa dal di fuori è peggio che aver al piede la catena del galeotto. Altro, in tali condizioni, non si pensa che a poter dare uno sguardo a questa valle di lacrime, infrangere i serrami della porta.

Eccomi, dunque, a far mobile, con astuzia di carcerato, una stecca della persiana ed a me apparisce la scalinata di San Giovanni dei Fiorentini ed il primo piano della casa di contro, nel quale abitava la signora Apolloni, donna di forme esuberanti, proprio il sogno dei collegiali.

Per aprir la porta della mia camera provvidi, di notte, così: per muovere dal di dentro il catenaccio occorreva qualche cosa di simile ad un rampino, che, intromesso fra la porta ed il suo battente, il catenaccio facesse saltare. Tale arnese ot-