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padre; la quale io sentii un po’ meno di quella di Don Pasquale. Mio padre io avea visto di rado. A volte per punirmi col bastone, a volte per condurmi in chiesa al Gesù dai santi; ed a volte, con i ghiottoni, alla fiaschetteria della Palombella. Badiamo: egli era molto sobrio, ma la serata era interminabile ed il fiaschetto di Orvieto, poi, era allungato da discussioni di affari.
Mio padre ha lasciato questo testamento che venne ispirato dall’avvocato Armellini cognato di mio fratello Antonio: al figlio maggiore due parti, agli altri figli una parte ciascuno. Ma i minorenni, sotto la tutela della madre, fuori degli affari ed il loro capitale in mano dei maggiorenni al cinque per cento. Tutti gli effetti per uso di casa fossero apprezzati e comprati da quelli della famiglia. Così venne fatto; e ricordo, fra l’altro, che lenzuola di finissima tela vennero pagate cinquanta centesimi l’uno. I minorenni, naturalmente, non venner chiamati ad adire a questa vendita.
Gli affari andavano assai prosperosamente. Fra altre imprese avea, in quel tempo, la Ditta Costa, l’appalto delle Grasce e Consumo di Roma e Comarca, il quale dava centinaia di migliaia di scudi di guadagno. Si viveva largamente, v’erano sedici cavalli nella stalla, si tenevan molte carrozze, molti domestici, una lauta tavola. I minorenni mai han goduto delle carrozze, quantunque le distanze per andar a scuola fossero grandissime. Essi per vitto ed alloggio pagavano ciascuno 25 scudi al mese. Somma per quell’epoca enorme.
I miei fratelli, per ragioni di affari e di decoro famigliare, davano grandi e molto sontuosi pranzi. Queste spese straordinarie essi gravarono sulla eredità, che, morendo ci lasciò nostra madre. Per dare una idea di questi conviti, dirò che uno ne diedero in onore della Duchessa di Sassonia per l’occasione della venuta di lei per comunicarsi nella Chiesa di San Francesco a Ripa.
Altro gran banchetto offrirono, quei miei fratelli, a Grego-