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questo viale, che attraversava le sette vigne, si allargava in piccole piazze di aiuole fiorite. Nel mezzo di questo viale i miei fratelli avean fatto costruire un elegante casino architettato dal Cipolla e dipinto dal Mantovani.
In fondo al viale vi era un cancello con una graziosa torretta. A sinistra vi era un antico colombario, che tagliava l’orizzonte della collina, sulla quale era altra vigna, nostra pur questa, ed un bosco sacro. Fra questo ed il Tevere erano gli antichi Orti di Cesare. Di fatti un giorno, noi ragazzi, armeggiando e scavando il terreno per fare una trincea contro i Cartaginesi, sprofondò il terreno e si scoprirono sei camere con musaici. Ora tutto questo spazio è occupato dalla stazione di Porta Portese e dalla via di ferro.
In questi casini si davan pranzi, feste, concerti, ai quali erano invitati i primari uomini che erano a quell’epoca in Roma.
Eravamo amici dei monaci benedettini, tra i quali Don Mauro Liberatore, Pappalettere, Don Luigi Tosti, il padre abate Pisciscelli. Tra gli artisti avevamo amici: il Morani, il Calamatta, il Mercuri e tra i letterati: Tommasoni, Masi, Orioli e molti altri di cui non ricordo i nomi.
A novembre si tornava al collegio di Montefiascone. Freddo, fame e sferza.
Don Antonio maestro di grammatica latina, una delle materie meno simpatiche ai giovani, prendeva la frusta per flagello; e, maneggiandola a modo di fionda, dava col manico.
Alzarsi prima di giorno con freddo intenso, tale che l’acqua che stava in camera nella mezzina si congelava. Appena fuor del letto dir subito orazioni, poi rifar il letto, quindi percorrer lunghi e freddissimi corridoi per andar in cappella; quivi udir la messa e dir l’Ufficio della Madonna. Se qualcuno si addormentava era condannato a far croci con la lingua sul pavimento oleoso sottostante alla lampada; accadde questo anche a me ma io, come al solito, mi serviva del naso.