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— — Giovanni Costa.... — risposi.

— Castrati? — chiese l’Ufficiale.

(V’era in Roma un Filippo Costa Castrati, non parente ma mio intimo, generoso contribuente al «Centro di Insurrezione» del ’67.)

— No davvero!... — risposi pronto.

E l’ufficiale:

— Allora lei non può passare.

Ed io:

— E lei, che appartiene alla gloriosa arma dei Bersaglieri, ha incarico di respingere dal Campidoglio.... i non castrati?...

— Silenzio!.. — seppe solo rispondermi l’ufficiale, che, pur tendendo verso di me la punta della sua sciabola, se la rideva sotto i baffi.


Tale spirito del Governo dei moderati fu davvero una stonatissima nota nell’armonia di generale entusiasmo della Roma di quei giorni. E non fu, la politica bassamente partigiana da esso iniziata, senza qualche mala influenza sullo svolgimento successivo della vita pubblica romana. La quale doveva avere nella elezione a deputato di Giuseppe Luciani, finito in galera, nel coccapiellerismo etc. episodi indegni.

Principalmente per compiacere a Mattia Montecchi, come la firmò Vincenzo Rossi, così pur io misi la mia firma ad una protesta per la nostra esclusione dalla Giunta Municipale Provvisoria, che egli formulò e che venne presentata, a mezzo di un notaro, al Generale Cadorna.


Malgrado tutto ciò, io ritenni di non avere terminato il mio compito politico in Roma fatta libera. Come è ben noto, la parte di Roma che si estende al di là dal fiume e che comprendeva allora i due rioni di Trastevere e di Borgo, compresi sotto il nome di «Città Leonina», nella mente del Governo avrebbe dovuto rimanere in dominio del Papa. E, difatti, su quella parte della città non venne in quei primi giorni, dopo