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d’arte dei Musei e dei Palazzi Capitolini erano, per la falsa pudicizia dei tempi che aveano termine, deturpate con drappeggi in gesso od in bronzo o con le solite ridicole foglie di fico.

Io, approfittando del mio momentaneo potere, resi omaggio all’Arte, restituendo a tutte le nudità del Campidoglio intera la loro libera forma.

XLIV.

IL PLEBISCITO DELLA CITTÀ LEONINA.


I poteri, di cui il caso e la necessità delle cose mi aveano investito, non potevano durar molto. lo più d’ogni altro lo comprendeva, come d’altra parte, assai che presto cessassero desiderava. Allo scopo io stesso, fin dal 21 settembre, mi presi premura di provvedere a chi potesse sostituirmi. In quel giorno, appunto, era tornato a Roma da un ben lungo ed onorato esilio il mio vecchio amico Mattia Montecchi, il quale aveva avuta assai parte nel Governo della Repubblica Romana nel ’49; ed io fui ben lieto di averlo a coadiuvarmi nella formazione di una lista di notabili romani per costituire una rappresentanza cittadina provvisoria. Nel farlo, avemmo cura di evitare che qualsiasi partito politico in questa avesse la prevalenza.

Scegliemmo, perciò, i nomi che sapevamo essere generalmente bene accetti alla cittadinanza, e di ogni gradazione politica Tenemmo, inoltre, presente che questa Giunta avea da occuparsi solo, ed in via provvisoria, di cose municipali.

In tal lista figuravano i nomi seguenti: Don Onorato Caetani, Principe Odescalchi, Don Ignazio Boncompagni, Don Emanuele Ruspoli, Professor Guido Baccelli, Mattia Montecchi, Vincenzo Rossi ed io, Nino Costa.