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— Non per la breccia, Maestà, — io risposi — ma per la Porta. Ed ho avuto l’altissimo onore di firmare, sul Campidoglio, il decreto che liberava i prigionieri politici.

E la Regina amabilmente rilevò:

— Lei, così, ha avuto una gran bella ricompensa, degna del suo patriottismo.


Non pochi altri incidenti vennero a turbare, specie nelle prime ore, il lavoro di quella mia improvvisa magistratura. Tra questi, due mi son rimasti impressi, che dan colore al quadro degli avvenimenti di quei memorandi giorni romani.

Non era ancora abbuiato, la sera stessa del 20, quando giungeva in Campidoglio il Professore di Medicina Guido Baccelli, la fama scientifica del quale era già, fin da allora, assai grande. Non seppi allora e non so neppure adesso, che cosa precisamente l’uomo illustre fosse venuto a fare in quel giorno ed in quell’ora in Campidoglio. Suppongo che egli, venendovi, intendesse far pubblica adesione al nuovo ordine di cose. A cercarvi un poco di popolarità, che sapeva di non aver meritata. Perchè, bisogna dire, come il Prof. Baccelli — a differenza del Prof. Maggiorani col figlio, il Dottor Diomede Pantaleoni, ed altri illustri medici romani del tempo, che si erano tanto compromessi nel movimento nazionale da dovere esulare — era stato sempre alla Santa Sede ed al Regime Papale assolutamente ligio; nemmeno avea egli avuto mai il minimo contatto con quel «Comitato Nazionale Romano» che, pure, alla Santa Sede mai aveva turbato i sonni. Ed, in ciò, egli era stato più sincero dei capi di questo.

Ciò spiega perchè, giunto sul Campidoglio, il Prof. Baccelli vi fosse assai ostilmente accolto dai cittadini che vi si trovavano; la massima parte dei quali, o personalmente o per via di amici e parenti, avevano avuto da penare a causa del regime a quello sì caro.

La dimostrazione facendosi vieppiù violenta, l’illustre scienziato si rifugiò nel Palazzo. Ma qui, per lo scalone e su nelle