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il sacro colle. Cammin facendo mi fu, più volte, sorpresa carissima sentir da passanti acclamato il mio nome; eran, per lo più, popolani già affiliati al mio «Centro di Insurrezione», i quali si univano a noi. Quando giunsi col mio seguito al Palazzo Senatorio, sede anche allora del Municipio, vi trovai adunati cittadini che vi erano accorsi per provvedere alle più urgenti necessità pubbliche. Vi erano: Don Ignazio Boncompagni Principe di Venosa, Don Emanuele Ruspoli, Vincenzo Rossi ed altri che or non ricordo.

Queste egregie persone mi mostrarono una lista, ch’essi avean buttato giù, per formare una Giunta Municipale provvisoria. Nella lista era compreso il mio nome. Ma io dichiarai esser necessario che vi si comprendesse anche il nome di qualche popolano, dei tanti che avean provato con i fatti la lor devozione alla causa nazionale. Esitando quei signori ad annuire alla mia proposta, io mi alzai per andarmene. Ma tutti quanti i convenuti, ad una voce, ritennero indispensabile ch’io rimanessi; ed, a trattenermi, mi dissero molte amorevoli parole; pure taluno mi usò cortese violenza perchè non me ne andassi. Ed io rimasi.

E rimasi, anche, dopo che quei signori se ne furono andati. C’erano immediate misure da prendere, qualcuno bisognava ben che le prendesse. Mi determinai, quindi, ad assumermi tutta la responsabilità della situazione. E mi installai in Campidoglio, avendo a fianco Vincenzo Rossi ed intorno molti dei miei migliori uomini del «Centro di Insurrezione», fedeli e disinteressati.

Gli impiegati municipali, quasi tutti, aveano creduto bene di non presentarsi, in quel giorno, all’ufficio loro. Per la prima cosa, li mandai subito a prendere tutti quanti alle lor case. E, quando li ebbi davanti, vivamente li rimproverai per aver disertato il loro posto in un giorno in cui più che mai era necessaria l’opera loro. Ingiunsi ad essi di stare in permanenza in Campidoglio, come vi sarei rimasto io. Dissi loro che esigevo che tutti quanti i servizi pubblici, da ciascun di essi di-