Pagina:Quel che vidi e quel che intesi.djvu/354


— 232 —

di assalto il Tenente Augusto Valenziani. Era questi romano; avea, credo qual cameriere segreto, appartenuto alla Corte del Papa. Ciò che, però, non gli avea impedito di difendere nel ’49 Roma contro i Francesi; dopo avea emigrato. Alla difesa di Roma ci eravamo conosciuti e fatti amici; da allora non ci si era più visti. Ed, in quella mattina, ci ritrovavamo assieme a liberare la nostra comune città nativa. Fedele al giuramento, ch’io aveva fatto a me stesso, mi misi accanto a Valenziani che stava in testa al suo plotone.

Fra le fucilate dei nemici, che guarnivano i terrapieni avanti la porta sconvolti dalle cannonate, mentre già il sole splendeva in alto, pure sparando, noi avanzavamo a sbalzi, di corsa, ad ogni sosta buttandoci lunghi distesi a terra. Con l’ultimo balzo avanti, di lancio saltammo, mentre qualche soldato cadeva, sul terrapieno dove presto avemmo ragione dei difensori; i quali, sempre combattendo, si ritiravano dentro la prima porta ed andavano a ripararsi dietro altro terrapieno, che sbarrava la seconda delle due porte, di dove ci sparavano addosso. E primi fra tutti, Valenziani ed io, ci cacciammo dietro a questi.

Valenziani era miope e portava occhiali. Mentre sotto il fuoco avanzavamo tra le due porte, mi volsi ad esso chiedendogli: — «Le tue lenti non si son rotte?» Nello stesso istante una palla nella testa me lo faceva cadere morente, senza profferire parola, fra le braccia. Io, perchè non fosse calpestato dai sopravvenienti assalitori, lo trassi da parte, lo appoggiai al muro laterale ed abbracciandolo gli dissi:

— Ringrazia Iddio che ti fa morire così!...

E mi gettai all’assalto.

Saltai, con altri che incalzavano, su la barricata nemica. Così, per la porta, non per la breccia, fui tra i primissimi, se non pure il primo, ad entrare dentro Roma libera.

E con ciò il mio voto era adempiuto!...