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uniti, vivemmo nella Campagna la vita del bandito, percorrendola evitando le strade maestre ed i rari borghi, cercando il cibo di casale in casale, dormendo sotto i ponti, nelle capanne dei pecorari, non di rado al sereno, con rare ed incerte notizie di quanto avveniva, consumati dal desiderio di entrare nella nostra Roma.


Frattanto il corpo comandato dal Generale Cadorna avea passato il confine e si dirigeva a cinger Roma da più parti, preparandosi ad attaccarla dal lato del tutto opposto a quello da cui, nel ’49, i Francesi con Oudinot l’aveano attaccata. Infatti il maggior nucleo del corpo di Cadorna procedeva da entrambi i lati della Via Nomentana; e su questa era Cadorna e lo Stato Maggiore del Comando.

La situazione mia e dei compagni, con i quali campeggiavo intorno a Roma, era assai migliorata da quando l’avanzarsi del corpo di Cadorna avea obbligato i Papalini a ripiegare su Roma. Tuttavia non eravamo ben sicuri che, se si fossero accorti di noi, anche i Nazionali non ci avessero rimandati indietro.

Avvicinandosi, però, le truppe a Roma ed essendo, ormai, imminente l’assalto, decidemmo di presentarci al Generale Cadorna e, come romani molto pratici di vie e luoghi della città, offrirci per guide che erano necessarie alle truppe attaccanti. Quando fummo alla presenza del Generale, che ci accolse stando in piedi, gli esponemmo il nostro desiderio, aggiungendo che ci sarebbe stato assai caro di essere fra i primi a rientrare nella città dove eravamo nati. Il Generale alquanto ristette prima di risponderci; volse su di noi lo sguardo, scrutandoci uno ad uno, i nostri nomi già conosceva; ed a noi ansiosissimi, con poche e spiccie parole, ma non senza cordialità e simpatia, rispose accettando la nostra profferta. E dette subito ai suoi ufficiali gli ordini necessari.

Erano con me in quell’incontro: il Conte Michele Amadei, Achille Della Bitta, Giuseppe Luciani, Francia, Migliaccio, Ludovisi.