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con quella misura e quella saggezza che le necessità internazionali imponevano. E, poi, l’Esercito del Re non avrebbe tardato a sopraggiungere.


Si comprende, quindi, come non appena la guerra con la Prussia aveva obbligato la Francia a richiamare il corpo di occupazione, che dopo il 1867 manteneva in Roma, a me sembrasse giunto il momento propizio per produrre il gran fatto dell’insurrezione dei Romani in nome d’Italia e di Vittorio Emanuele. Ad ottenerlo, assieme ad alcuni amici, mi adoperai con tutte le mie forze. Era, però, indispensabile che il Governo, superata in quel momento della storia nazionale ogni considerazione di partito, vinto ogni pregiudizio, sapesse elevarsi all’altezza di quello.

Ma nessuna intesa era possibile col Governo di Giovanni Lanza. Mai la storia, in un suo gran momento, ebbe più infimi attori quali coloro che reggevano l’Italia quando essa si accingeva a riacquistar la sua Roma. Il Ministero Lanza era quasi interamente composto di uomini imbevuti di idee e di sentimenti gretti ed esclusivisti, propri alla Consorteria Fiorentina; la quale, come già ho notato, dopo la morte di Cavour, avea completamente deformato, nel contenuto e nel metodo, la politica del grande uomo di Stato.

Veramente gli uomini che governavano l’Italia, allo scoppiar della guerra franco-prussiana, erano del tutto incapaci di comprendere e di apprezzare la bellezza del modo in cui noi intendevamo fosse liberata Roma; e di valutare le sue felicissime conseguenze politiche nazionali ed internazionali. Erano, quegli uomini, espressione di un partito che mai sarebbe venuto a Roma senza il pungolo alle reni del Partito di Azione.

Gente la quale, occupata Roma, avrebbe voluto lasciare al Papa Trastevere e Borgo (Città Leonina), nei quali fu sempre vivacissimo il patriottismo. Gente che preferì entrare con effrazione nella futura Reggia dei Re d’Italia. Gli uomini di questo Partito, i quali assai meno per l’Italia avean compiuto