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del bosco di lecci dei Cappuccini; e mi ricordo, pure, della sensazione che producevano questi frati barbuti a me non avvezzo a veder barbe perchè in quell’epoca non si costumava portar barba; e credevo che i Cappuccini fosser interamente coperti di pelo.

Mi ricordo pure di Monte Piano che si erge come una enorme piramide; e dalla cui cima, assicurava Don Pasquale, si vede il Vesuvio ed il mare.

Il ritorno da Segni compivamo a cavallo per diciotto miglia fino a Velletri; ed a me toccava star in groppa dietro a Don Pasquale, arrotando il naso sulla schiena di lui.


Se ripenso alla mia infanzia, la rivedo invasa dalla malinconia. Sentivo che non era stata, dai fratelli maggiori, salutata con gioia la madre incinta di me. Appena acquistato l’uso della ragione, sentii che c’era qualcosa di meglio della educazione che ci davano, della religione che ci volevano inculcare, alla quale non ho mai creduto. A confessarmi obbligato, mai l’ho fatto in buona fede; mai ho temuto l’inferno, mai ho sperato di vedere un angelo. Tutta la mole di una religione, che si presenta col Dio uno e trino, la Madre Vergine e Cristo in carne ed ossa dentro l’ostia e si fa trangugiare, legioni infinite di angeli, di cherubini, di serafini, ecc. e l’innumerevole schiera dei santi, dei patriarchi, non poteva entrar nella mia povera mente; la quale ripiegata in se stessa per i poco buoni trattamenti, non sentiva che la verità. E sentiva che questa religione era una specie di Ancora rugginosa e spuntata, ferro battuto da un popolo in decadenza. Naturalmente io non aveva, allora, formulato nella mente queste idee, ma era quel che confusamente provava un giovinetto allo stato naturale, che cercava il suo avvenire.

Io mi rammento di una gran tristezza che mi possedeva. Solo la campagna e la musica mi trasportavano e mi commovevano in modo da farmi piangere. Di musica io ne aveva