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straordinario, altrettanto bene che in italiano, poteva, scrivendo e parlando, servirsi anche del francese, tedesco e spagnolo.

Leighton ha potuto, nella sua non lunga vita, compiere una gran massa di lavoro e, nel tempo stesso, partecipare assiduamente alla vita mondana del suo tempo, coltivare una incredibile quantità di relazioni, coprire cariche pubbliche importanti. Quando venne nominato Lord ne compì assiduamente i doveri, come quelli di Presidente della «Royal Academy» e di Colonnello di un corpo di volontari. E potè farlo per la sapiente distribuzione del suo tempo, in cui non lasciava mai posto all’impreveduto. Ricordo che, quando tornò dal suo viaggio di Siria e si fermò in Italia, a me non riuscì di farlo trattener meco un sol giorno di più di quel che egli aveva stabilito. A spiegarmi perchè non poteva accontentarmi, mi fece vedere tutto quello che aveva prestabilito di fare e gli impegni da tempo presi con altri lungo la via, prima del suo arrivo a Londra. Quivi giunto, mi disse, per tal giorno e tale ora, egli fin da Damasco avea dato appuntamento allo studio di Londra ad una sua modella. Io, incuriosito di controllare se Leighton sarebbe riuscito ad esser tanto preciso, scrissi ad un amico che lo constatasse e me ne scrivesse. E questo mi scrisse che, veramente, mentre il nostro amico, all’ora precisa da tanti giorni fissata, saliva le scale del suo studio, la modella suonava alla porta della scala di servizio.


La mia amicizia con Federigo Leighton durò ininterotta, cordialissima per circa mezzo secolo. Quando ne conobbi la morte fu per me tanta desolazione come se fossi rimasto orfano.


Con Richmond, in quegli anni, lavorammo assieme nello studio e sul vero a Firenze; e lo stesso venne, nel 1868, a star meco qualche tempo a Bocca d’Arno. Ed assieme ci trovammo ad Assisi ove, colui che dovea lasciar in San Paolo di Londra testimonianza tanto eloquente del valore dell’arte sua, compì seri studi su le pitture di Cimabue e di Giotto.