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battimento, troppo ineguale, si annunciava disastroso. Il Generale fece mettere in batteria i due cannoni presi ai Papalini a Monterotondo. I nostri, man mano che arrivavano, erano schierati intorno a Mentana, cingendola dalla parte dove ora è il monumento commemorativo della battaglia ed allora v’erano alcuni grandi pagliai. Quivi stette Garibaldi.

I nemici, sparando, avanzavano. I nostri rispondevano, ma indietreggiavano; e qualcuno, pure, malgrado il gridare degli ufficiali già se la dava a gambe. Ad un certo momento, essendosi la linea nemica assai avvicinata, riuscimmo a radunar qualche centinaio di volontari. Ricordo, in questo momento, la lunga spettrale figura di Nicola Fabrizi con la gran barba bianca, avvolto in un svolazzante gabbano nero con un ampio cilindro in capo, gli occhi fiammeggianti, rotear concitato gridando la sua canna da passeggio, e Stefano Canzio tempestare con la rivoltella in pugno e Menotti, acceso in volto, brandente la sciabola... Ammassata una linea, la spingemmo avanti alla baionetta, spingendo con noi all’assalto le linee antistanti. I Papalini, sorpresi dal nostro impeto, indietreggiarono precipitosi in disordine. Ma, dopo non molto, riordinati e rinforzati, tornarono avanti. Così durammo tra varie alternative. Ma le fila dei nostri sempre più si assottigliavano ed il nostro fuoco si faceva più languido, quantunque ufficiali conducessero, quando a quando, gruppi di ritardatari o di sbandati a rinforzarle.

Ad un tratto, però, dalla parte dei nemici crepitò più frequente e più ritmica la fucileria e le palle grandinavano più fitte, abbattendo qualche volontario.

Erano i Francesi, con i lor tristamente famosi chassepots.... Fu un gran panico nella massa dei nostri; prima oscillò, poi rinforzandosi il fuoco dei Francesi, la massima parte dei volontari si sbandò.

Qual disgustoso spettacolo!... Ho tuttora negli occhi quegli sciaguratissimi che gettavano il fucile e se la davano a gambe, e negli orecchi il grido di quei fiorentinacci: