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non avea potuto trovare che un osso spolpato, che non sa- rebbe partito con la fame per compagna. lo lo condussi, al- lora, a casa Salvatori, ove nella mia valigia trovai di che sfa- marlo con qualche resto delle copiose mie provviste. Ed il genovese mangiava ancora, continuando a brontolare, quando potei cacciarlo in carrozza e via per la strada di Mentana.

S'era fatto tardi. Già qualche colonna di volontari era in marcia. La mattinata era serena e dolce. Quei giovanotti, lieti di aver cambiato le loro scarpe da passeggio, con le quali erano entrati in campagna e che si eran presto sfondate, con solide scarpe, procedevano allegramente vociando e cantando, con la pagnotta infilata nella baionetta. AI nostro passaggio si facevan ai lati della strada, motteggiando il nostro equipag- gio. A taluno dei volontari essendo saltato in mente di libe- rarsi del suo sacco, mettendolo sulla nostra carrozza, altri lo imitarono e subito di sacchi su questa ve ne fu un monte.

Oltrepassate di buon trotto le colonne in marcia, eravamo già prossimi a Mentana, presso Villa Santucci, quando ci ap- parve il capitano Carlo Mayer fermo su la strada, il quale ci disse che una sua pattuglia avea avvistato Papalini e Francesi che si avanzavano e che egli avea preso posizione, stendendo i suoi Carabinieri Livornesi. Ammoniva che la carrozza, in quel punto, avrebbe attirato il primo fuoco. Che bisognava avvisar subito Garibaldi dell’avvicinarsi del nemico. Io mandai subito il mio genovese, con la carrozza, indietro ordinandogli di far avanzare a passo di corsa i primi volontari che incontrasse e di annunciar a Garibaldi quanto accadeva.

Io rimasi; ed anzi, andai avanti con Mayer a rendermi conto delle mosse del nemico. Tornati indietro, vedemmo arrivare di corsa i primi volontari; erano alcune diecine di Romani e di Romagnoli. Ricordo ch'era con questi, lungo lungo e smilzo, il giovanissimo Galletti De Cadilhac, romano.


Garibaldi non stette molto ad arrivare.

Già eravamo alle prime fucilate. Ma fin da principio il com-