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— Furono i Romani. Essi conquistarono il mondo e gli diedero le loro leggi....

— Sissignoria....

— Guardate come vi ha fatto il Governo dei preti.... Venite con noi a conquistarvi la libertà!...

Ed i due butteri in coro:

— Come vuole Vossignoria!...

A questo punto il Generale si accorse di me, che m’ero tenuto silenzioso in disparte; e mi venne incontro.

Quasi subito apparve dalle scale Don Ignazio Boncompagni Principe di Venosa — della famiglia proprietaria del palazzo in cui eravamo — il quale indossava una magnifica camicia rossa a ricami d’oro. Molti anni dopo, trovandomi ospite dei Venosa nella lor Villa di Albano, seppi che questa camicia garibaldina era dono gentile a Don Ignazio di colei che poi fu la compagna della sua vita; la quale l’avea lavorata con le sue mani, Le scale per salire alla torre eran piene di puzzolente sporcizia, lasciatavi dai Papalini che fino a pochi giorni innanzi, prima che Monterotondo fosse preso dai nostri, aveano occupato il palazzo. E fui sbalordito nell’udire Garibaldi dire al giovane patrizio:

— Principe, le vostre scale non odoran bene. Prendete una scopa e pulitele.

Il gentiluomo fece tanto d’occhi; ma non disse verbo e corse via a provvedere all’ordine ricevuto.


Soddisfatto Garibaldi, informandolo delle strade intorno a Monterotondo, mi affrettai a scender dall’alta torre premendomi di raggiunger presto Tivoli. Per il mio viaggio ebbi un carrozzone cardinalizio, tirato da due grossi cavalli neri dalle lunghe code. Ma partir subito non mi fu dato. Il genovese mio compagno era scomparso; venne con grandissimo ritardo, quand’io m’ero deciso a partir senza di lui. Sacramentava nella sua sorda e monotona cantilena ligure che avea dovuto cercar di che sfamarsi, essendo digiuno da ventiquattro ore; ma che