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Costa era devoto amico. Egli avea fiutato il vento circa le intenzioni del Governo. Egli venne diritto da me. E mi disse:

«— Sta succedendo così e così. Che cosa si deve fare?

«Mi venne subito in testa che potevamo rivolgerci al Console Britannico. Nello studio vi erano quadri appartenenti a sudditi inglesi, taluni finiti, altri ancor da finire. Joseph Severn, il Console, era egli stesso pittore e, benchè intimo del Vaticano, le sue simpatie erano tutte per la libertà.

«L’ingiustizia e la durezza del Governo verso uno dei suoi primi eminenti sudditi venner da Wilde e da me fatte notare a Severn. Il quale, dopo alquante considerazioni e dopo che io dichiarai assumermi tutta la responsabilità del procedimento, acconsentì di sigillare la porta dello studio di Costa al N. 33 di Via Margutta col sigillo d’Inghilterra e dichiararlo proprietà britannica. Questo salvò la situazione. E quando, tre anni dopo, Costa tornò a Roma, nel settembre 1870, egli trovò lo studio ed il suo contenuto allo statu quo.

«La difficoltà circa il danaro venne superata dal detto artista americano Wilde, il quale abilmente manovrò per trasferire i fondi da Roma a Firenze, ove Costa s’era rifugiato.»

XXXVIII.

MENTANA.


Nelle prime ore pomeridiane del 1.° novembre 1867, una elegantissima «calêche» colle molle «alla Polignac», tirata da una bella pariglia di vivaci cavalli, col cocchiere ed il valletto in livrea, attraversava di buon trotto Piazza del Popolo ed imboccava la Porta. Vi era dentro una giovane signora vestita all’ultima moda, alla quale sedeva vicino un signore bruno su la quarantina, in cilindro ed elegantemente vestito. Era con la coppia signorile una bella ragazzina, essa pure in abiti eleganti.