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maggior violenza. Ma invano. Francesco Cucchi fece valere la sua volontà di capo.
Frattanto Rattazzi, che non avea saputo cogliere il momento buono per agire, sotto le minacce della Francia aveva dovuto dimettersi. La crisi non fu breve. A Firenze regnava la confusione della paura. Venne chiamato al Governo il Generale Menabrea. Si disse, allora, Re Vittorio essere indignato contro la «Consorteria» e che questa, invece, avesse le simpatie del Principe Umberto.
Malgrado tutto Garibaldi non rinunciava all’azione.
Il 22 Ottobre il piano insurrezionale era spezzato.
Uno ad uno, durante la giornata, una quarantina di giovinotti più ardimentosi e fedeli, erano andati a celarsi nel mio studio di Via Margutta. A notte alta li mandai, a piccoli gruppi, a sorprendere lo Spedale Militare per impadronirsi delle armi che vi erano custodite.
Io con pochi altri, all’ora stabilita, mi avviai al Campidoglio, nei pressi del quale trovai altri dei nostri che, sparsi a nuclei di due o tre, aspettavano i miei ordini per l’assalto. Eravamo armati di vecchi fucili, di pistole e di alcune bombe all’Orsini. Prendere il Campidoglio non aspettavamo dovesse essere difficile impresa. Ordinariamente era guardato da un picchetto di pochi soldati al comando di un sott’ufficiale, tranne le sentinelle ci aspettavamo di trovar tutti addormiti. Una volta preso il Campidoglio, doveano venire ad afforzarvisi assieme a noi gli uomini di Guerzoni e quelli che essi avessero armati coi fucili presi a Villa Matteini.
Senonchè Guerzoni ed i suoi trovarono questa attorniata da forze preponderanti e, dopo un breve combattimento, avean dovuto ritirarsi.
Quando, poi, io ed i miei uomini andammo per salire al Campidoglio, sbucarono fuori numerosissimi soldati — ne eran stati empiti i sotterranei — che ci salutarono con una scarica. Rimase ucciso un Carabiniere del Papa che passava. Spirò mormorando;