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potuto rivelarsi favorevole. Ed, anco più insistentemente, ci raccomandava Garibaldi di non più tardare.

Sornioni, i Moderati secondavano, non potendone fare a meno. Ma un insuccesso sarebbe lor piaciuto che, ad un tempo, avesse sepolta la Quistione di Roma, e svalutati gli avversari politici.

E questa lor mancanza di sincerità e di devozione alla causa nazionale, come già ho accennato, assieme alla mancanza di aiuti dati in tempo dal Governo, rovinarono la nostra bella impresa. E Roma non tornò, come poteva, all’Italia per virtù degli Italiani ed aperta volontà ed azione dei Romani, ma solo potè tornarvi per effetto della sventura della Francia.

Ora, dopo tanti anni, circa trenta, da quei giorni mi domando se la cagione del fallimento del moto insurrezionale che noi volevamo, fu veramente colpa di pochi uomini o del Partito Moderato tutto; e debbo in coscienza rispondermi che fu colpa di questo, o meglio, dei «Consorti» toscani che in quello predominavano. Debbo aggiungere che se Rattazzi avesse smesso di sussidiare il Comitato Nazionale Romano e ci avesse favorito nel provvederci armi, la nostra azione avrebbe potuto essere tanto pronta da cogliere di sorpresa, prima dell’intervento francese, ed il Governo Pontificio e la Diplomazia. Anche la Francia si sarebbe trovata dinanzi al fatto compiuto. E l’ostilità dei Moderati sarebbe stata travolta.

È certo, però, che, anche al punto in cui erano le cose, il nostro piano avrebbe potuto avere felice successo, se non ci fosse stato chi, avvisandone il Governo Pontificio, non ne avesse impedito la riuscita; la quale avea come presupposto indispensabile la sorpresa.

Di questo tradimento fummo certi fino da allora.


Quando da Francesco Cucchi, con me ed altri pochissimi, venne definitivamente stabilito il piano di azione, egli volle che ne fosse fatto partecipe anche il già nominato A. D. D. del Comitato Nazionale Romano. A ciò io mi opposi con la