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luzioni. Qualche brava persona, fra loro, ma fatta cieca dal fanatismo. Gente che si può anche adoprare, ma che deve esser sorvegliata e diretta, e non mai lasciata fiduciosamente agire indipendente. Io volli, pure su questa gente, in seguito, mettere in guardia Garibaldi. Ma non giunsi in tempo.
Andato a trovarlo a Vinci, sopra Empoli, patria di Leonardo, ove esso dimorava ospite nella Villa dei Martelli, mentre io entravo dal Generale, Giuseppe Luciani ne era uscito poco prima e scendeva il colle recando seco fondi e, peggio ancora, credenziali per Roma, che Garibaldi, troppo fiducioso, gli avea dato.
II mio avversare le due correnti, mi valse che l’odio votatomi giunse alle maggiori estremità negli uni e negli altri. Tanto che da più parti venni avvisato che entrambe le tristi congreghe avevano stabilito di sopprimermi ed aveano disposto tutto per farmi far la festa. Quasi contemporaneamente venni a conoscere che la Polizia avea deciso di arrestarmi a qualunque costo. Ed, al punto a cui s’era giunti, non poteva essere dubbia la mia sorte, se qualche santo non mi aiutava.
Ma non era davvero il momento, per me, di abbandonar la partita.
Comunque dovetti adoprar in modo che apparisse che io avessi lasciata Roma. Dovevo, per poter continuar l’opera mia sempre più necessaria, salvarmi dai pugnali dei nemici e dalle manette papali. Rimasi clandestino, continuamente fuggiasco nei più diversi travestimenti. Ero tanto serrato dappresso che, più di una volta, fui ad un pelo di esser colto. In pochi mesi io passai la notte in quarantasette diversi luoghi. Finalmente mi sentii sicuro in una camera al di sopra del mio studio di Via Margutta, dove, per due volte, tornò a far le sue solite e balorde sorprese in grande apparato la Polizia, mentre io tranquillamente me la dormiva di sopra. Per fortuna i poliziotti papalini, se erano ferocemente accaniti, erano però di poca accortezza. E non mancava per me di un certo romantico interesse questo mio continuo sfuggire a sbirri ed a sicarii. lo