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della nostra città. Dietro di lui sarebbe venuto l’Esercito Nazionale con re Vittorio. Nella storia così avrebbe figurato più bella la liberazione di Roma e la sua restituzione all’Italia. Questo volevamo fare. Questo potevamo ottenere. Questo ci venne deliberatamente impedito.


Io non mancai di far conoscere a Garibaldi quanto noi del «Centro di Insurrezione» intendevamo di fare. Ed egli comprese e pienamente approvò. Ma non gli tacqui che se noi potevamo far assegnameuto sulla cooperazione del «Comitato di Azione» di Mazzini, avevamo, però, ostilissimi coloro che aveano avuto sino a poco prima il mestolo in mano nelle cose romane; che, nella realtà, essi giammai si sarebbero sinceramente acconciati alla attuazione di un programma che guastava le cose loro e dei fiorentini al Governo, con cui se la intendevano tanto; ed i quali aborrivano un fatto che avrebbe scemato il prestigio del loro partito.

Quando cadde il ministero Ricasoli e venne sostituito da quello del Rattazzi, che si annunciava per la Quistione Romana sì diverso da quello — ed era una illusione, perchè Rattazzi era, ancor più forse del Ricasoli, sotto l’influenza di Parigi — io non mancai di avversare presso lo stesso il Comitato Nazionale Romano raccomandando, fra l’altro, che si togliesse allo stesso il contributo mensile di diecimila lire, assai cospicua somma in quel tempo; il quale, in realtà, veniva speso per scopi del tutto contrari a quelli per i quali si credeva, generalmente, venisse dato. Questa mia azione si riseppe e l’odio contro di me divenne, in quei concittadini, da vivo che già era, addirittura mortale.

Nel tempo stesso, per la Quistione Romana, equivocamente si agitava Giuseppe Luciani emigrato romano, uomo audacissimo e senza scrupoli, morto in galera per l’assassinio di Raffaele Sonzogno. Egli teneva corrispondenza in Roma con uomini della sua stessa risma, scorie sociali che vengono fuori sempre, fra mezzo agli eroi, anche nelle più nobili delle rivo-