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poteva accadere anche assai di peggio, non essendo a me solo nemico il Governo del Papa, nè il peggiore.
Il tempo dell’azione si andava maturando. Nei centri dell’emigrazione romana nel Regno si era impazienti e ad agire si spingeva; l’agitazione garibaldina per Roma o Morte, sempre più ingrossava. Era chiaro che, a tutto ciò, dovesse corrispondere un movimento altrettanto vivace e deciso dentro Roma; nè dovea lasciarsi l’iniziativa dell’azione al Comitato mazziniano, isolato nel suo rigido repubblicanesimo.
A Firenze l’emigrazione avea formato una sua rappresentanza detta «Centro di Emigrazione», la quale dovea unificare l’azione politica, procurar sussidi, ecc. Dello stesso faceano parte non pochi deputati della Sinistra, tra i quali ricordo Benedetto Cairoli, Francesco Crispi e Nicola Fabrizi.
Perchè Roma non fosse inferiore alle necessità della grande ora che si andava avvicinando, io nei primi giorni del marzo 1867 vi fondai il «Centro di Insurrezione».
Roma non poteva essere liberata con altro mezzo all’infuori di un movimento insurrezionale di Romani, nella stessa città. Così solo avrebbe potuto Roma imporsi alle potenze cattoliche ed alla stessa Francia di Napoleone III; ed avrebbe dato all’Italia di Vittorio Emanuele II ragione di intervenire nella città. Questo era riconosciuto dalla stessa «Consorteria» per bocca del suo Ricasoli che le avea dato la parola d’ordine in proposito: «Non un altro Aspromonte!...» Però, mentre questo atteggiamento avea palesemente, nel fatto, con i suoi strumenti dentro Roma, si sforzava ad impedire che i Romani potessero insorgere, raggiungendo, col solo mezzo da tutti riconosciuto efficace, la loro liberazione. Essa, la «Consorteria», fu causa del fallimento della insurrezione di Roma, di Villa Glori e dell’intervento francese, come di Mentana.
Il mio «Centro di Insurrezione», quindi, rispondeva ad una assoluta necessità per liberare Roma. Aggiungendo la sua molta