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gli insegnasse a leggere, a scrivere, e far bene, ma bene assai, i conti e anche un po’ di italiano, aggiungendo:

— A dodici anni, però, sia tutto finito, perchè il ragazzo mi bisogna in fabbrica.

Così avvenne. Gli affari prosperarono sempre di più.


Mio padre non era forte in aritmetica ma faceva qualunque conto a memoria, con maggior prontezza di un contabile moderno. Era religiosissimo; per lui non esisteva che la Santissima Trinità in cielo e in terra chi tiene il Triregno.

Dopo Antonio ebbe, mio padre, altri quindici figli, quattro dei quali morirono prima che io nascessi. Furono gli altri: Filippo, Giuseppe, Francesco, Anna, Paolo, Artemisia, Pietro, Angela, Giovanni, Teresa, Luigi.


Con la famiglia andarono sempre più crescendo i mezzi per mantenerla ed educarla.

Mio padre non facea per i suoi figliuoli risparmio in maestri di ogni genere e la famiglia tenne con molta e signorile larghezza: casa ampia e comoda, cappella gentilizia, cavalli e carrozze, partite di caccia, ville, villeggiature e teatri. Nulla a quella facea mancare.

Non più andava mio padre a «Fontana Secca», ma soleva passare un’ora, la sera, in casa giocando a tresette con certi De Vecchis, Poggioli ed Anzani, mentre i giovani si divertivano dal canto loro.

D’animo assai generoso, mio padre, come il Lera aveva con lui praticato, così egli, quando si trovò nella prosperità, fece per un giovine lavorante della sua fabbrica. Gli fornì una vistosa somma perchè potesse metter su fabbrica a conto proprio e questo giovine Guglielmi tanto prosperò negli affari e tanto salì di stato che giunse ad avere la corona di marchese. Così pure egli aiutò molti altri lavoranti suoi. E fu per spirito caritatevole che nel terribile colera del 1837, benchè pregato e quasi obbligato, mai accondiscese a chiudere il suo la-