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aveano veduta tanto in tutto diversa, quale era la mia. Meissonier, che già avea raggiunto l’apice della propria fama, fece due lunghe visite alla mia collezione di studi. Corot, poi, fu molto colpito da una marina con una barca peschereccia, che era il primo studio di mare che io avessi fatto, da me dipinto a Porto d’Anzio nel 1852, notevole assai per la trasparente fluidità dell’acqua che ero riuscito a raggiungere; e volle questo comparar con un suo studio di mare. E questo fece occasione di un ricevimento al suo atelier.

Tutto ciò assai mi lusingava. E non mancai al ritrovo, stabilito allo scopo, in un pomeriggio di domenica, all’atelier di Carot. I due dipinti furono messi su cavalletti vicini, ma piazzati in modo che non si nocessero l’uno l’altro ed in pari condizione di luce. Nello studio, con molti artisti erano gentili e graziose signore, che, galantemente, quelli voller facessero anche da giudici. Corot faceva gli onori del suo studio con molto garbo e festevolezza ed infondeva negli ospiti il suo brio. Le signore con buon umore ed allegria dettero il lor responso, dichiarando che entrambe le marine erano ugualmente eccellenti. Quando il verdetto fu pronunciato, Corot con effusione mi abbracciò alla presenza di tutti dicendomi con una certa solennità:

— Se Hobbema fosse qui in mezzo a noi, vi avrebbe abbracciato per la vostra valentia; ed io mi permetto di abbracciarvi in sua vece in nome degli artisti francesi.

Grande animo come e quanto grande artista, Corot avea certamente immaginato questa gentile maniera di far ‘sapere nel mondo artistico in quanta considerazione egli tenesse il confratello italiano e la pittura di lui.

Dopo questa specie di «consacrazione» di cui Corot volle, con tanta gentilezza, farmi oggetto, si stabilirono tra lui e me relazioni veramente fraterne; e, per tutto il tempo che io rimasi in Parigi, egli volle che avessi una chiave del suo studio, affinchè potessi, a mio piacimento, servirmene per lavorarvi come per studiarvi i suoi propri studi dal vero. Di frequente