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ad un bosco di ginepri che il vento marino faceva nani. Dietro a questi, piccoli pini; e, più addietro, alberi di alto fusto; i quali al posto delle foglie portate via dal libeccio, oppongono a questo una chioma di ispidi rami. Al di sotto di questi una fitta boscaglia di lauri con acquitrini e bufali.
lo, che nel mio quadro avevo gli alberi nel fondo, mi piazzai sulla rena ma per Mason fu più difficile trovar quanto gli occorreva. Poichè egli dovea vedere il mare tra gli alberi, cosa che è quasi sempre impossibile trovare nelle spiaggie piane.
II luogo era del tutto deserto, senza anima viva. Quando, dopo tre giorni che vi dipingevamo, sentimmo una forte ed irata voce di maschio che al suo figlio bambino dava del buono a nulla con espressioni che non si possono ripetere. Dopo poco uscì dalla macchia un uomo coperto di pelle di capra che portava al fianco un mozzicone di vecchia sciabola; il capo pure egli aveva coperto di pelo e portava dei cosciali pelosi che sembravano zampe di caprone. Era un vivente satiro. Egli si mise dietro di me, seduto e curvo sul mio lavoro, a guardare attentamente quel che io facevo dipingendo. Stette un pezzo a guardare e poi si decise a parlare, dicendomi:
— Che Cristo stai freghendo da ste parti?
— Sto pittando lu mare... — Risposi io.
— Ma che me dici?... Sti sò gli arbucci....
Infatti io stava dipingendo quegli alberelli torti color avana, attraverso i quali si vedevano blù i colli Albani, tempestati da gemme di piccoli paeselli. Stavo dipingendo questi e poi ritornavo a dipingere uno degli alberelli. Ma il satiro mi disse:
— Questo lascialo ì che l’hai fatto; nun lo vedi?
Mason che era lì vicino, scoppiato in una bella risata esclamò:
— Piglia sù!... L’hai avuta la lezione dal pagano...
Alla sera andavamo a dormire nello stesso stanzone dei finanzieri. Prima di addormentarci si doveva raccontare una