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Da Genzano essi mossero per Tivoli. Di qui furono a Vicovaro, dove per poco non si troncarono il collo per il ribaltamento del carrettino in cui viaggiavano. Quindi a Subiaco donde, in una notte di plenilunio, furono a Rio Freddo. Di là penetrarono nel Cicolano fermandosi alla Petrella, ove Mason fece un delizioso quadretto che Carterwright possiede tuttora. Andarono, poi, ad Aquila; e di qui per Tagliacozzo furono a Sora e, quindi, per Attina a Monte Cassino, ove ebbero liete accoglienze dal padre Luigi Tosti. Per Arpino, Alatri, Segni, Norba e Ninfa tornarono a Genzano.
Io li vidi appena tornati. La sensibilissima anima di artista di Giorgio Mason era tuttora nel fremito delle profonde emozioni da esso provate in questo giro. Mi raccontava Carterwright che Mason fu, durante questo, in continuo rapimento dinanzi agli spettacoli naturali che gli si presentavano. Nelle montagne, in prossimità di Attina, avendo incontrato dei greggi di pecore con i pecorai che rompevano l’alto silenzio di quelle col lamentoso suono delle lor zampogne, l’emozione di Giorgio giungeva fino al pianto.
Questa campagna artistica, nel cuor dell’Italia, ebbe la maggior influenza su la formazione di uno dei pittori più delicati e profondi, che annoveri l’Arte Britannica contemporanea.
Mason, animato dal rinnovellato fervore per l’Arte, continuò con me l’assiduo suo lavoro.
Un giorno, assieme a Mason, stavo, sotto la valle dell’Arriccia, dipingendo delle roccie al calar del sole in una delle splendide giornate invernali italiane. Passarono due contadini. Ed uno chiese all’altro ammiccando noi:
— Ma questi accidenti o che nun ce l’hanno li sassi ar paesaccio loro?
— Li sassi ce l’hanno, ma nun cianno er sole. — Rispondeva l’altro.
Si ha da dire come i pittori, in quei tempi, erano nelle campagne creduti tutti o matti od Inglesi.