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Il brav’uomo volle rendersi simpatico e servizievole; e quando noi cacciavamo i cani gridando, egli per conto suo con una leggera bacchetta, alle nostre grida aggiungeva qualche leggera sferzata. Ecco che viene un cagnolo seguìto dal suo padrone. E, ricevuta la sua sferzata, andò via guaendo. Il padrone era un architetto romano, uomo grosso e forte il quale andò diritto al capitano e lo minacciò di colpirlo alla testa con un grosso bastone che avea in mano. La balbuzie dell’architetto gli accresceva la sua rabbia. La difficoltà di spiegarsi in italiano del capitano accrescevagli la confusione. Ad ogni modo riuscì a dire:
— Io credere cane osteria, se gentiluomo chiedo scusa....
E quel del cane:
— Scusate sto....
E lì una energica, plebea e romanesca esclamazione.
Allora io dal fondo della tavola gridai:
— Chi non accetta le scuse merita le bastonate!...
E feci appena in tempo ad alzarmi che l’architetto balbuziente era sopra di me, lasciandomi andare una bastonata in testa. Parai col braccio. E risposi subito colpendolo alla festa con un grosso bastone ritorto, come quelli dei porcari alle fiere. L’amico cadendo sanguinoso, disse:
— Ve conosco sor Costa!...
L’omaccione perse i sensi. Venne preso e portato in casa di peso. L’osteria fu chiusa. Quando il ferito rinvenne si trovò tra le braccia del dottor Nardini, il quale sentendosi obbligato a far referto del caso alla polizia, venne dallo stesso ferito pregato di scrivere che egli, essendo ubriaco, avea ruzzolato la scala. Ed incaricò lo stesso dottore di farci sapere che quella sera si trovava in istato di esaltazione; che era dispiacente di aver suscitato il deplorabile caso, e che, appena ristabilito, ci attendeva a far una sbicchierata nella sua cantina. Era stata una fortuna che giorni prima, facendo a colpi saltare le pietre per la strada, il mio bastone avesse perduto un grosso puntale di ferro; senza di che il mio aggressore era un uomo morto.