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Era molto fiero e ci voleva molta astuzia per soccorrerlo senza che se ne accorgesse. Egli scendeva da casa sua nella sottostante piazza, dove stazionavano i carri con i buoi che, staccati, mangiavano e riposavano. Di questi faceva studi squisiti con la maniera la più semplice.
Egli mi diceva:
— Io ho pochi colori e fido solo nel mio sentimento.
Una mattina che Giorgio Mason dipingeva, al solito, sulla Piazza Barberini, passò un ricco mercante di campagna, certo Toto Tittoni, nella sua carrozza. E fermatosi avanti al pittore gli disse:
— A pittò! Voi venì co’ me?
E Giorgio:
— Vengo.
E monto sù.
Il cordialissimo Tittoni lo condusse seco in una sua tenuta, dove gli dette una camera ed il vitto, un cavallo ed un uomo che lo servisse. E Mason vi rimase circa un mese con grandissimo suo diletto e profitto.
Grato al caro ospite suo, gli volle fare il ritratto a cavallo; opera che tanto amerei di poter rivedere. Ricordo che era fatto con tanta passione e con tanto timore del vero. Vi erano dei terreni con le stoppie, e l’aria che l’azione del sole sull’umidità che si sprigiona dalla terra rende tremula e palpitante.
Era opera seria, condotta con sentimento infantile.
Sebbene io avessi conosciuto il giovane Federigo Leighton nel pieno sole della Campagna Romana, liberatore del misero asinello sardignolo e vincitore anch’egli di una delle gare al gioco dell’anello nella giornata di Cervara, non ero ancora andato nel suo studio. Ricordando la generosa azione del giovane inglese ed avendo saputo che egli avea lodato un mio disegno, bramai conoscerlo meglio e conoscere l’arte sua. E pregai il suo e mio amico Enrico Gamba, pittore, di condurmi al suo studio.