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che è una pentola artisticamente dipinta con asini eroicamente amorosi nel fiorito maggio.

Ecco quel che mi avea valso questa seconda vittoria. Come ho detto, io montava, quel giorno, un bel cavallo andaluso. Ma mi ero provveduto anche per la corsa dei somari; e mi ero fatto mandare da Velletri un’asina gigante delle Paludi Pontine. La corsa era su di un terreno piuttosto accidentato. Nel percorso si doveano attraversare fosse e passare paludi. Presso ai fossi io avea fatto appiattare degli amici, i quali con opportune nerbate faceano che la mia bestia non esitasse al salto. Si ha da sapere, anche, che l’asino è nel mese di maggio molto cavalleresco e non si permetteva di passare avanti nella corsa alla orecchiuta dama. Ond’è che, anche per questo, io trionfai nella corsa e venni ammesso all’onore di libare nel calice del presidente della festa.


Dovete sapere come, fin da fanciullo, io avessi gran propensione per tutto quanto fosse inglese.

Quando andavo con Don Pasquale, a fare acquisti nel negozio di Cagiati io voleva sempre che quel che m’era destinato fosse roba inglese. Mi piacevano, negli oggetti inglesi, la sobrietà di forma e di colore e l’onesta solidità della manifattura.

Nella Legione Romana, poi, nel ’48 io aveva militato con Federigo Mason (fratello di Giorgio Mason pittore) bellissimo quanto valoroso giovine. E da un anno io era amico dello stesso Giorgio. Questo, avendo veduto il mio quadro delle «Donne a Porto d’Anzio» che io ho descritto, tanto ne fu colpito che mi volle conoscere e mi tenne come maestro; mettendosi con gran calore all’arte della pittura da lui fino ad allora coltivata come dilettante.

Giorgio Mason, dopo aver vissuto abbastanza agiato, si trovava in uno stato di vera miseria. Ed un giorno che fui, in quel tempo, a trovarlo a casa sua, a Piazza Barberini, mi accorsi che da tre giorni egli si nutriva di sole castagne secche.